Salve Gianni! di Pierre Restany
Salve Gianni, tu mi hai aiutato a vivere
Siamo in pieno luglio. Piove. Il tempo a Parigi è eccezionalmente freddo per la stagione. Non sono in forma; ho passato una notte in bianco al Rosebud e al Jack’s, i bar per intellettuali di Montparnasse svuotatisi progressivamente dei loro clienti abitudinari. Sono davanti alla mia macchina da scrivere ed esito. E’ quasi un mese che esito. Dal 22 giugno, giorno del mio 36esimo compleanno e giorno della mia partenza da Milano. Ho lasciato Gianni Bertini promettendogli di inviargli al più presto una prefazione introduttiva alla sua biografia. “Tu che lo conosci tanto bene, ti sarà facile”. Ebbene, il tempo passa e sono stato preso dalla timidezza e poi dall’angoscia.
Gli amici Stefanoni di Lecco (quel pranzo simpatico sulle rive del lago; le nozze d’argento nella stanza accanto) attendono il mio testo per stampare il libro…. La cosa peggiore è la loro delicatezza. Né essi, né Gianni mi hanno sollecitato. Pisa, via del Borghetto 119, all’angolo della tranquilla strada dei suoi vecchi genitori, Gianni spera invano, ogni giorno, l’arrivo del postino. Figlio di buona donna questo Pierre, dice a Licia. Essendo l’ora della siesta, l’ora in cui ci si annoia, ciò lo occupa.
Insomma non è una buona scusa. E poi bisogna che mi liberi da questo pensiero ossessionante, da questa folla di ricordi che da una settimana mi assalgono e mi paralizzano.
Allora, da dove cominciare? Gianni Bertini. Mi fermo a battere a macchina e involontariamente scrivo al margine di un foglio: Bertini Bertini Berber Tiber.
Auffa! Gli ho già fatto lo scherzo della litania ammaliatrice e della scrittura automatica. Questo era per un’altra biografia di Bertini, edita in occasione di una sua personale al “Palais des Beaux-Arts” di Bruxelles nel 1963.
Ancora un’altra biografia. Quanti opuscoli, monografie, libri su Bertini, da Bertini, per Bertini. Per Giove, egli si tesse un perpetuo omaggio.
Ripenso a Gianni: tutta una vita condotta sotto il segno esigente dell’avventura visiva. Per me è anche la storia di un’amicizia incominciata sulle rive della Senna da oltre tredici anni e forse più.
Quanta prodigiosa energia vitale in questo toscano che, appena arrivato a Parigi, era entrato in contatto con una delle rare gallerie-pilota del momento (si chiamava Galleria Arnaud, rue du Four). La sua ambizione era già quella di gettare un ponte fra i poli dell’avanguardia, al di sopra delle Alpi.
Era l’epoca delle noiose scarrozzate franco-italiane in treno (avevo diritto al biglietto gratuito sul percorso francese, così ero diventato un abbonato della linea Parigi -Modane). Andavamo a Torino per incontrare Parisot, redattore-capo della rivista “I4 Soli” di cui Gianni fu, a Parigi, l’ambasciatore ufficioso e straordinario. Gli sono grato per avermi dato modo di scrivere su questi fogli confidenziali alcuni testi saporosi che mi piacerebbe rileggere oggi, nella calura estiva del Piemonte, davanti ad un piatto di tartufi bianchi d’Alba.
Soprattutto si parlava molto (ci difendiamo ancora benino da quel lato: le nostre successive donne sono sempre rimaste frustrate dall’insolita lunghezza delle nostre comunicazioni telefoniche, non è vero Gianni?), di tutto e di nulla.
Comunque era questione del grande dibattito sull’avvenire dell’arte astratta ed i motivi del lirismo gestuale animavano le serate della Rue Campagne Première al n.23. Allora tu abitavi da S. che ti ha sequestrato tutti i tuoi grandi quadri il giorno in cui l’hai lasciata, quei grandi quadri geometrici, lineari, che furono gli ultimi del tuo periodo di transizione. A proposito, dove sono ora? Alcuni anni fa mi avevi fatto spedire una attestazione in merito: “Io sottoscritto , ecc. ecc…”.
Ricordi, era per il tuo avvocato.
“Gianni Bertini, nato a Pisa nel 1922, sulle rive tirreniche di quella toscana ricca di tradizioni e memorie, culla dei Paolo Uccello, dei Piero della Francesca, dei Leonardo…” (è una frase di un opuscolo che fu edito dalla Galleria H. Kamer in occasione della mostra delle opere di Bertini, la cui vernice ebbe luogo il 22 febbraio 1957 alla Galleria situata al n.90 del boulevard Raspail, Parigi) – Gianni Bertini dunque, il “neo-classico” – fra due analisi, due giudizi, due risposte, faceva una deliziosa e strana cucina e, in particolare, degli spaghetti alla banana.
Eravamo entusiasti, esaltati, coscienti della rimessa in questione di certi valori fondamentali; coscienti anche purtroppo, della crescente pressione che esercitava su di noi il conformismo organizzato dall’Ecole di Paris. Ci agitavamo perché volevamo che tutto si muovesse e tutto, in effetti, si muoveva perché eravamo nel giro buono. Ce ne siamo accorti un poco più tardi: eravamo i vincitori della querela sul “tachismo” sollevata da Charles Estienne prima alla Coupole e poi sul giornale “Combat”.
Tra il 1954 ed il 1957 le cose precipitarono per noi. Come incontro tra la letteratura e la pittura ci
furono i poemi-oggetto ed una esposizione circolante organizzata da Jean-Pierre Wilhelm dall’amico Peter Bruning e da me stesso. Per diversi mesi fu impossibile recuperare i poemi-oggetto di Marcel Jean e Jean Arp. Che affare: il primo ne fece una malattia; il suo libro sul “Surrealismo” uscì con sei mesi di ritardo a causa di tutto ciò. Il poema-oggetto era un approccio sintetico del fatto visivo che esprimeva il senso profondo della ricerca bertiniana. Questa biografia, per la quale scrivo in questo momento, non è, per l’appunto un poema-oggetto concepito come una banda disegnata, dei Gianni-fumetti? Oppure la trasposizione dei “GRIDI” dal 1948? STOP!
ALT! Raffigurare lo STOP non è forse rimetterlo in questione, andare oltre?
Il mio spirito si riscalda, il mio pensiero si assesta, le idee si articolano. Prendo il via. Tutte le azioni bertiniane si riordinano, signore e signori, intorno ad un fenomeno energetico. Bertini rifiuta di essere il giocattolo degli avvenimenti, lo spettatore passivo. Ama la vita sino a morirne, essa lo affascina, lo appassiona, l’incanta. La sua opera è un inno incessante alla gioia di vivere, alla necessità di esistere, al bisogno di esistere. Il gesto bertiniano è esistenziale, marca il risveglio dell’io alla sua propria coscienza. Anche a quella del mondo, a questa superba e terribile manifestazione della vita organizzata: questo mondo di cui l’artista toscano, con l’orgoglio insensato che è la fede dei demiurghi e l’appannaggio dei vari poeti, ne ha fatto il suo giocattolo.
E’ bene dire che la prodigiosa prodigalità d’energia di Gianni mi ha sempre affascinato. Poche persone, a parte Yves Klein, si sono preoccupate così poco delle loro riserve. Come meravigliarsi, allora, se il suo gesto ha, a poco a poco, perduto il suo significato nel corso dell’azione pittorica?
L’usura espressiva ha giocato per un Bertini allo stesso modo che per un Mathieu o un Hartung. Come ne è uscito da questo vicolo cieco, sintomo che precede la crisi? Impostando il problema con un rigore matematico. Per lui non era questione di rinnegare il suo grafismo, ma di rinunciare alla sua pretesa di assoluto, al suo isolamento marginale, per ingaggiarsi direttamente nel reale.
Firma l’appropriazione delle cose, costata e sigilla la “bertinizzazione” nel mondo, il gesto sanziona ormai il ritorno al “Paese reale”.
Lasciando il regno assoluto dell’ontologia statica, Gianni Bertini, ha ritrovato il realismo della storia, il tempo universale al posto del tempo interiore.
L’io dell’artista è in perpetua osmosi con l’ambiente esterno,l’appropriazione bertiniana s’identifica con la coscienza del mondo: bandiere, documenti ufficiali, giornali, collages, fotomontaggi, anche critici d’arte. A Parigi alla Galleria J, a Milano alla galleria Apollinaire, Restany, fra gli altri, è stato copiosamente bertinizzato. D’altra parte, l’un per l’altro, tanto vale bertinizzare un critico d’arte piuttosto che lo stemma ufficiale di un paese straniero: a Venezia, per esempio, dove i turisti sono particolarmente amati, Gianni Bertini si è visto interdire un’intera esposizione. Non si gioca invano con i colori nazionali.
La generosa visione di Bertini abbraccia il quotidiano in un magma dinamico. Il magma in preda alla turgescenza delle forze vitali raggiunge il parossismo del caos. Cosa importa! L’immagine composita originale, ripresa in cliché e riportata su tela raggiunge una nuova struttura unitaria.
Questo atleta del lirismo gestuale è divenuto il campione dell’arte meccanica. Il movente dell’atto pittorico resta lo stesso, ma i mezzi del linguaggio si sono evoluti. A differenza di pittori della “action-painting” l’astrazione bertiniana non riflette la condizione dell’uomo separato dal mondo, ma quella dell’uomo solo davanti al mondo. Oggi Bertini si addossa la sua solitudine in maniera diversa: egli è solo al mondo. Solo, ma col cuore e gli occhi spalancati.
Di questo mondo non rifiuta niente, vuole tutto, prende tutto. Gianni tu vuoi il tuo posto al sole, a te non piacciono gli angoli oscuri e ciò non l’hai mandato a dire a quelli della combriccola del “Salon de Mai” che per ben dieci anni ti hanno relegato fra due porte (“Bonsoir Salon de Mai!” Jacqueline Selz non se ne è ancora rimessa!). Ma il tuo posto al sole è il sole stesso! Meravigliosa bulimia appropriativa.
Hai superato l’alienazione non-figurativa per generosità di spirito.
Per molto tempo Gianni ha offerto l’esempio più perfetto di integrazione totale alla Ecole de Paris.
Oggi, al termine di questa assimilazione, si riavvicina di nuovo alla sua Italia natale, come se volesse ritrovarvi le radici profonde della sua cultura, ricaricare le batterie del suo affetto.
Pisa 22 marzo 1964. Sono di ritorno da Firenze, dalla mostra mercato delle gallerie d’arte. Gianni mi aspetta e rifacciamo insieme il pellegrinaggio tradizionale. Egli ha per le pietre nobili ed arcicelebri della sua città l’attaccamento semplice e diretto del contadino con la sua vigna. L’aria di Pisa è fluida e penetrante come il suo sguardo. Questo parigino grande habitué di Montparnasse non è pertanto un nottambulo sradicato e sprezzante del tempo degli altri.
Il suo modulo di vita è toscano ed anche la sua sensibilità. Egli sa rifiutare gli omaggi tardivi ed i premi di consolazione. L’uomo che è brillante nei giorni di gloria sa restare dignitoso nei momenti duri. E ne ha avuti! E ne avrà ancora. Ci vuole ben altro che un brutto colpo della sorte per uccidere in Bertini l’accanimento a dipingere che è, allo stesso tempo, l’accanimento a vivere.
E’ amareggiato quest’uomo? E’ critica la sua visione? Ecco degli interrogativi che non ci si pongono quando si conosce Gianni Bertini, il suo amore possessivo, generoso, senza limiti per il motore dinamico del mondo, l’energia cosmica, la quintessenza reale della vita…
Ebbene! Ecco qua! Mi sono lasciato prendere ancora una volta al grande gioco bertiniano. Il mio discorso s’infiamma, volge all’inno di gioia e al canto d’amore fraterno. Penetro il segreto di questa amicizia, subisco senza ritegno il fascino diretto di quest’opera. Tutto si chiarisce e tutto è detto.
Salve Gianni! Tu mi hai aiutato a vivere.
Pierre Restany – Parigi, luglio 1966