[…] La tappa più recente di questo cammino percorso sotto il segno della metamorfosi, Bertini l’ha compiuta negli anni ’90. Sempre attento esploratore dei limiti tecnici e alla ricerca delle più recenti possibilità tecnologiche, con lo scopo di sottolinearne l’essenza più significativa dal punto di vista plastico, Gianni Bertini ha sostituito il riporto fotografico con una riproduzione digitale dell’immagine. Quest’evoluzione nel trattare meccanicamente l’immagine ha portato a significativi cambiamenti a livello dell’aspetto “pittorico” dell’opera.
Prima di tutto il procedimento di elaborazione dell’opera a collage si è modificato per il fatto stesso che l’artista può intervenire in qualsiasi momento della fase “creativa”, durante la quale si determina l’assemblaggio degli elementi che compongono l’opera. Il procedimento fotografico fissava la rappresentazione nel momento che precedeva la proiezione sulla tela. Esisteva una predeterminazione del soggetto imposto dall’obbligo della foto precedente al quadro. Il concetto dell’opera si effettuava prima e dopo il riporto fotografico, essendo questa fase in sé soltanto un procedimento puramente tecnico distaccato dall’aspetto creativo. Il riporto attraverso il computer concede una libertà d’intervento infinitamente più vasta, offre all’artista la possibilità di modificare ad ogni momento l’immagine che esamina sullo schermo del computer, può così rielaborarla a piacere fino al momento in cui sceglie di fissarla sulla tela. Questo mezzo offre tutte le libertà a vantaggio di una ricerca più approfondita e senza limiti che ha permesso a Bertini di eseguire una serie di opere dalle caratteristiche totalmente diverse da quelle ottenute con il riporto fotografico.
L’iconografia non se ne allontana molto e resta fedele alle tematiche della Mec-art: una parte di attualità, una parte di interpretazione. Il realismo viene comunque sfumato con un effetto di sospensione ed imprecisione nel contorno delle forme. Esse non sono infatti delineate con un tratto netto, ma da una zona imprecisa che sfuma in forma dal carattere soprannaturale. “Sono tornato allo sfumato di Leonardo”, suggerisce maliziosamente Bertini, come se si trattasse di una strizzatina d’occhio alla sua stessa storia. L’atmosfera imprecisa dalla quale emergono i personaggi e gli oggetti contrasta violentemente con la limpidezza e la nettezza dei colori. La tavolozza dell’artista si è intensificata per raggiungere le tonalità acide dei verdi o dei gialli, e dei blu brillanti come bandiere. Queste opere testimoniano una vivacità incessantemente rinnovata, in una ricerca che precede sempre la sua stessa logica, quella del rinnovamento e di un continuo ripensamento dell’atto creativo, e mostrano anche una volontà barocca, che collega Bertini alla storia della pittura italiana, nel preferire l’acquatico e l’aereo al terrestre, l’immateriale al denso, in una lettura atemporale del nostro stesso quotidiano che l’artista prospetta in uno slancio di futuro migliore.
Dominique Stella in La schiuma del tempo, Mudima, Milano 2004