I quadri di Bertini pongono con acutezza il problema della narrazione non-figurativa. Manifestamente, essi presentano un soggetto lirico, senza essere pertanto riducibili ai concetti tradizionali d’associazione. Essi non appaiono neppure come i prodotti d’un paranoicismo critico, essendo esenti dal cerebralismo delle atmosfere subcoscienti. Queste opere colpiscono lo spettatore per una sorte di lirismo che ha impregnato la loro essenza nella stessa misura. Tutto avviene come se fossimo in presenza di fenomeni rituali, ripetuti quotidianamente in qualche posto, altrove, in un altro mondo eppure vicino. In mancanza di equivalenti più esatti, i quadri di Bertini possono evocare delle profondissime immersioni sottomarine oppure il brusco passaggio, nel cannocchiale d’un osservatore celeste, di nebulose in formazione, lo scoppio infine di minacciose macchie solari o di funghi atomici.
Lo spazio di Bertini è narrativo: risponde alle esigenze d’una messa in scena dell’illimitato e d’un lirismo epico superiormente lucido. Le “prospettive” bertiniane s’oppongono alla stretta bidimensionalità d’un Hartung. Esse testimoniano un senso specifico dello spazio congiunto ad una concezione particolare del cromatismo. L’organizzazione interna del quadro è rivolta all’espandersi del colore dominante: tutti gli elementi concorrono a questo fine, e la qualità di questa espansione determina la densità spaziale e l’intensità lirica dell’opera. Questo matematico pisano, nutrito alle sorgenti della cultura umanistica e della Rinascenza fiorentina, è il Piero di Cosimo della pittura astratta.
Pierre Restany in “Lyrisme et abstraction” edizioni Apollinaire, Milano 1960