Arturo Schwarz, L’ultima intervista (estratto)
Santa Margherita, giugno 2010
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Arturo Schwartz
Mi sembra che per te, il problema fondante sia il rapporto dialettico tra il tuo pensiero e l’immagine. Vuoi spiegarti al riguardo?
Gianni Bertini
Il rapporto dialettico tra pensiero ed immagine è il problema fondamentale di questa mia nuova serie.
A.S.
Nelle Tue opere trovo una peculiarità innovativa non trascurabile, mi sembra che, dopo tanti tentativi di épater le bourgeois, tanti propositi di essere assolutamente eversivi o nuovi pittoricamente, con te si torna a quello che ogni autentica opera d’arte cerca di essere: un riflesso trascendente del proprio io interiore, una rivelazione delle proprie più intime pulsioni che poi sono anche le nostre, una fedeltà alla propria filosofia della vita, rifiutando ogni concessioni alle mode e al mercato dell’arte. Confermi questa mia opinione?
G.B.
La risposta alla questione mi sembra fondamentale ma attualmente del tutto travisata: la ricerca artistica è quasi un problema obsoleto e comunque soffocata. Spero però che il peso della cultura e della ricerca torni ad essere vincente nel prossimo studio evolutivo. Restando nel presente, più che il consumismo, è la globalizzazione culturale che sregola i vecchi principi. I paesi emergenti (India, Cina …) con una cultura non riconosciuta mondialmente aspirano ad imporsi.
Del resto anche l’America del Nord è giunta ad una cultura ampia con l’esodo dei profughi della seconda guerra mondiale: i Masson, i Breton, Delvaux, Duchamp ecc. Su quella base è fiorita una cultura nazionale (i pop-artist) che si è quindi imposta a livello mondiale, mediata anche da un impegno economico. Si veda l’azione della C.I.A. (!!!) …, la sede dell’ambasciata americana di Venezia che si mette al servizio degli artisti presenti in Biennale ecc. È in seno ad uno stato possente e “conquérant” che sboccia la cultura. Anche il “Rinascimento” nacque in un paese florido dove la cultura era richiesta e rispettata. Attualmente sono altri paesi emergenti, che vogliono allinearsi con il resto del mondo, che imbrogliano le acque e che economicamente invadono, creando il disequilibrio. La conseguenza è che anche un artista del tutto ignoto viene spinto ad un prezzo di mercato magari dieci volte superiore a quello di un Max Ernst! Ė questa sperequazione e disfasia generata da una dittatura economica a produrre l’instabilità in ogni genere di valori…Ma non è questa la sola causa…
A. S.
Spiegami le ragioni che ti inducono oggi a dipingere su delle tavole da imballaggio e spiegami la tua procedura.
G. B.
Faccio incollare da un falegname delle assi servite per le casse da imballaggio. Mi piacciono queste tavole perché sono ricavate da un legno che ha vissuto, sono piene di buchi, lasciati dalle tracce dei chiodi e da altri incidenti. Lavoro su queste assi, dopo che sono state incollate e dovutamente piallate, seppure la superficie rimanga piuttosto rozza. Le immagini sono simili a quelle che realizzo ormai da anni. Ê il “significato” che è mutato. Infatti, in primo luogo uso scarsamente il colore: sono opere dipinte quasi monocrome. Inoltre, quel legno, di scarsa qualità, assorbe il colore, rendendo le immagini soffuse e con diverse sfumature, dove l’occhio spazia senza essere aggredito.
A.S.
Mi pare di riconoscere in questo procedimento l’uso del caso e un certo automatismo materico, dato che l’esito dell’operazione è imprevisto.
G. B.
Si e no, perché prima di passare all’atto, faccio delle prove su carta da imballaggio.
A.S.
Queste opere sono molto belle. Vi ritrovo alcuni dei tuoi stilemi iconografici presenti sin dall’inizio del tuo itinerario pittorico.
G. B.
Ad esempio, questo è un soggetto che avevo realizzato diversi anni fa, con alcune varianti. Però cosa guardano non lo so…
A. S.
Qui c’è un’immagine presa da un periodico o dalla pubblicità che tu inserisci su uno sfondo anch’esso ready-made. L’immagine è a sua volta un ready-made che solidifica una situazione anziché d’oggetti (come è il caso nei quadri trappola di Spoerri) di momenti di vita.
G. B.
Quello che m’interessa è che questa monocromia renda indecise le immagini.
A. S.
Vi è un precedente illustre per questa tua predilezione per il monocromo ed è quello dato dai cubisti. Ma il loro intento era diverso dal tuo. Loro si ribellavano contro l’importanza data al colore dai loro predecessori immediati, i Fauve. Privilegiavano, quindi, il momento strutturale del modello a quello cromatico. Nel tuo caso invece, il monocromo serve a non distrarre l’attenzione del fruitore. Desideri privilegiare, anche tu, il momento strutturale, quello che vede la trasmutazione di un elemento di vita reale in un elemento di vita artistica. In questo contesto, lo ripeto, il colore sarebbe del tutto superfluo.
G. B.
Ė quello che io dico a Liliane la quale mi rimprovera di fare questi quadri senza colore.
A. S.
Non hai torto, a mio parere dovresti continuare su questa strada. Cosa intendi esattamente con “ détournement” nel senso surrealista?
G. B.
Il fatto di partire da un’immagine che aveva un proprio significato nel proprio contesto e stravolgerla fino a farle assumere un significato diverso: il mio.